Merloni, un vademecum contro il declino industriale
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Ercole Sori |
Nella prima metà degli anni '90 i cinesi si affacciavano in Europa, nel settore degli elettrodomestici, con Haier, un gruppo fondato nel 1984 e che, oggi, è già il nono produttore mondiale. Ad accompagnarli, con il 30% del capitale delle due società con le quali diventavano operativi nel continente, era la Merloni. "Se l'industria asiatica in Europa è un cavallo di Troia, è meglio stare dentro il cavallo piuttosto che fuori", commenta a più di dieci anni di distanza Ercole Sori, storico dell'Università Politecnica delle Marche, nel suo Merloni. Da Fabriano al mondo (Milano, Egea, 248 pagine, 18 euro), in una delle 20 vere e proprie lezioni contro il declino industriale che, nell'ultimo paragrafo del volume, trae dalla parabola del gruppo di Fabriano.
Il volume inaugura una collana, Monogrammi, che la casa editrice dell'Università Bocconi dedica ai marchi del made in Italy. Sori ripercorre la storia della Merloni, dagli anni '30, quando il patriarca Aristide fondava una società produttrice di bilance, fino ai primi anni del nuovo millennio, con una forte attenzione al rapporto con il territorio circostante, prima di tutto Fabriano, poi le Marche.
Caso emblematico di un capitalismo familiare che non è di ostacolo, ma di stimolo allo sviluppo, la Merloni, nel dopoguerra, ha letteralmente cambiato il volto di Fabriano, sopperendo alla crisi di altre produzioni: nel 1951 il 50% degli addetti all'industria erano impiegati nelle cartiere e il 18,9% nella meccanica; nel 1991 si era già passati al 10% per la carta e 66,7% per la meccanica.
In un periodo in cui altri distretti industriali della regione, sostanzialmente monoproduttivi, vivono un momento di affanno e di ricoagulamento intorno a poche imprese di taglia medio-grande, lo pseudo distretto meccanico nato intorno alle suddivisioni e alle ricomposizioni delle imprese del gruppo e allo spin-off di funzioni, produzioni e soggetti imprenditoriali riconducibili all'elettrodomestico presenta caratteristiche originali, assimilabili più al sistema Fiat di Torino che agli altri distretti della regione.
Quella che viene definita come una "multinazionale tascabile" ha avuto il merito, quasi unico in Italia, di raggiungere un alto grado di internazionalizzazione "non su prodotti inediti, iperspecializzati, di nicchia, ma su un prodotto maturo e di largo consumo".
Pur evidenziando un giudizio positivo dello sviluppo del gruppo, Sori rivisita il modello Merloni in termini tutt'altro che agiografici. "Il modello Merloni, descritto da Francesco durante una commemorazione del padre, suona un po' troppo compatto", scrive. Sarebbe stato il buon senso, più che una chiara visione industriale, a guidare Aristide Merloni nello sviluppo di piccoli nuclei produttivi in un territorio contraddistinto da piccoli nuclei di popolazione, a suggerire una politica del personale parente stretta (anche se non del tutto assimilabile) del paternalismo, a stimolare la forte attenzione della famiglia per la politica. Sori, in particolare, nega che la Merloni sia stata un caso di "mostruoso connubio tra politica e affari". "Semmai", scrive, "per l'azienda fabrianese si tratta di legittima unione, con tanto di contratto matrimoniale affisso e dote dichiarata".