Milano Design Week
Giuseppe Pagano e l'Università Bocconi: tra architetture e design
6 - 12 giugno 2022 | Università Bocconi | Via Sarfatti 25
Qui si possono scaricare i riferimenti bibliografici usati nel testo nonché una bibliografia ragionata sulla vita e l'opera di Giuseppe Pagano (documento a cura dello staff della Biblioteca e Archivi dell'Università Bocconi)
Tra il 6 e il 12 giugno le installazioni, particolarmente suggestive per via della speciale illuminazione, saranno visitabili liberamente secondo le modalità e gli orari di apertura dei vari edifici coinvolti, ma dall’8 all’11 giugno, tra le ore 20 e le 22 (con partenze ogni 20 minuti circa), sarà anche possibile seguire il percorso espositivo partecipando gratuitamente ad una delle visite guidate con i volontari narratori del Fai.
E' richiesta la registrazione.
Progetto e installazioni a cura di
LUX Italia e Università Bocconi
"L'abbiamo visto quando studiava le viti e i posacenere, le
maniglie e i porta abiti del vagone Breda, o le vaschette per bere, i cartelli indicatori,
le librerie della sua Bocconi; lo vediamo ora nel minuscolo libretto che s'era
costruito in prigione per annotarvi tutti i dati, tutti i nomi, tutti gli
indizi che potevano concorrere alla perfetta preparazione della fuga in attesa
che un'occasione si presentasse per mettere a profitto i dati raccolti"
Da F. Albini, G. Palanti, A.Castelli (a cura di) (1947) Giuseppe
Pagano Pogatschnig. Architetture e scritti, Domus, Milano, p.10
L'iniziativa "Giuseppe Pagano e la Bocconi: tra design ed architettura" si compone di tre elementi fondamentali: la luce che, grazie alla collaborazione con LUX Italia, per una settimana attraversa il Campus Bocconi e caratterizza le installazioni pensate per la Milano Design Week 2022; un itinerario di visita fra differenti e a tratti contrastanti architetture del Campus Bocconi; la figura di Giuseppe Pagano, progettista della sede storica della Bocconi di via Sarfatti, ma anche degli arredi e del design degli interni dell'Università. Questi tre elementi si combinano in una polifonia di significati che ciascun visitatore potrà sviluppare durante le passeggiate serali nel Campus Bocconi, di cui qui si propongono solo alcuni
Leitmotiv.
Una prima serie di significati attribuibili al progetto si lega alla luce creata da LUX Italia per illuminare la Bocconi durante la settimana della Milano Design Week. Una luce color "verde Pagano" - come molti degli arredi voluti dall'architetto e designer - che si diffonde negli spazi del Campus e che metaforicamente vuole rappresentare la produzione e diffusione di conoscenza di un'Università che – come scrisse Pagano – "non ha pesi di tradizioni negative e che ospita studenti civilmente orientati al ritmo spirituale e morale della vita contemporanea" (Pagano, 1942). Una luce, dunque, che come la conoscenza della quale è simbolo si riflette nella realtà circostante e non è gelosamente custodita fra i muri dell'Università. Sin dalla prima installazione ("Light Source" ) - volta a simboleggiare l'importanza del patrimonio conoscitivo e culturale prodottosi in più di un secolo negli spazi dell' Università – la luce/conoscenza trabocca e dialoga verso l'esterno fino ad arrivare all'ultima installazione ("Human Lights") in cui la prospettiva si capovolge ed è la realtà sociale esterna a illuminare e informare la conoscenza prodotta in Università, simbolicamente rappresentata da uno degli oggetti di design in esposizione, la libreria-armadio di Pagano.
Una seconda serie di significati rimanda al dialogo tra architetture che nel tempo sono sorte all'interno del Campus Bocconi. Passeggiando tra queste architetture non si può non cogliere l'eterogeneità degli stili e dei materiali utilizzati dai diversi progettisti che sono intervenuti all'interno del Campus. Tale esperienza visiva riecheggia uno dei valori fondativi di un'Università che si è sempre dichiarata "libera": la valorizzazione e promozione della diversità. Nel contribuire in differenti epoche alla realizzazione del Campus Bocconi tutti gli studi di architettura hanno infatti preso come punto di riferimento l'edificio storico di Pagano ponendosi necessariamente in dialogo con lo stesso, ma dando anche vita a forme aggiornate, spesso antitetiche rispetto al nucleo architettonico originario. Questo Campus universitario meravigliosamente dissonante fa riflettere sul ruolo delle differenze, del confronto, persino del conflitto nella produzione di saperi che vogliano contribuire alla "crescita economica e morale della Nazione" come disse il Primo Rettore della Bocconi, Leopoldo Sabbatini. Quindi è sostanziale e non eventuale del Campus l'eterogeneità fra le architetture razionaliste di Pagano e Muzio e i nuovi edifici curvilinei disegnati dallo Studio SANAA, le forme dell' edificio "velodromico" degli architetti Gardella e l'imponente struttura progettata da Shelley McNamara e Yvonne Farrell di Grafton Architects, che si staglia orgogliosamente all'angolo fra via Rontgen e viale Bligny.
Infine, una terza serie di significati e rimandi si sviluppano guardando ai singoli oggetti esposti lungo l'itinerario. Essi evidenziano l'opera di Giuseppe Pagano come architetto e designer per l'Università Bocconi. Figura complessa, architetto militante e fervido intellettuale, Pagano riconobbe la Bocconi come l'ultimo dei suoi capolavori anche per l'utilizzo di diversi materiali (vetro, acciaio, pietra di Finale, litoceramica, legno) e l'uso del colore (il grigio-verde soprattutto). In questa fase proprio nella progettazione degli arredi, Pagano ritorna ai suoi esordi e propone quella che viene etichettata dagli esperti come una svolta "organicistica" o del "legno curvato" rintracciabile nei disegni delle poltrone e degli arredi Bocconi per l'Aula Magna dell'Università. Proprio in questa vicenda si può evidenziare uno dei tratti più caratteristici di Pagano che si collega così bene allo spirito dell'Università da lui progettata: una tensione costante alla ricerca di nuove forme e nuovi dispositivi, un ottimismo verso la gioventù e il nuovo e, come afferma egli stesso, un "abbandono di ogni senso di clausura (…) che ha dato a me al mio collega (ndr Gian Giacomo Predaval) molte e innegabili soddisfazioni" (Pagano, 1942). Un tratto, questo, fondativo di un'Università che ancora oggi è aperta alla modernità, ha fiducia nel progresso ed è sempre in dialogo con la comunità cittadina, nazionale ed internazionale.
Rendendo omaggio al suo primo architetto, l'Università Bocconi presenta quindi al pubblico i valori che si trovano "realizzati" negli edifici del Campus: centralità della cultura e della conoscenza a servizio della società, promozione della diversità, fiducia nel progresso e nelle forme del Nuovo, dialogo con la comunità cittadina, nazionale e internazionale. Valori fondanti di tutta la sua comunità che offre umilmente, e assieme con orgoglio, come punti di luce che possano illuminare un presente a tratti oscuro che ne ha, di tali valori, estremamente bisogno.
Già dall'inizio degli anni Trenta, l'Università Bocconi sente la necessità di rinnovarsi e intraprendere un'espansione fisica, che le permetta di andare incontro alla crescente domanda di iscrizioni e che si "ispiri ai principi di una didattica aggiornata e autonoma, in qualche misura svincolata dagli obblighi accademici delle università statali" (Romani, 2016).
Giovanni Gentile - Vicepresidente dell'Università, Ministro dell'Istruzione e intellettuale - attraverso una sottoscrizione riesce a finanziare una prima parte del progetto e ottiene in concessione dal Comune di Milano un'area di proprietà pubblica situata in prossimità di parco Ravizza.
L'accordo stipulato da Giovanni Gentile con il Comune di Milano prevede lo sviluppo di una proposta di progetto da parte dell'Ufficio Tecnico del Comune per la nuova sede che sarà poi valutata dall'Università Bocconi con la consulenza di un architetto di sua fiducia e nomina.
Nel 1936 l'Architetto Giuseppe Pagano viene chiamato dall'Università come consulente artistico e nella valutazione non si limita a giudicare negativamente il progetto presentato dal Comune, ma effettua una controproposta che gli permette di ottenere interamente l'incarico, smantellando ingegnosamente il progetto originale.
Così, nel 1937, iniziano gli scavi per la costruzione della nuova sede sotto la direzione artistica e tecnica di Giuseppe Pagano affiancato dall'ingegnere Giangiacomo Predaval.
Pagano si dedica completamente alla realizzazione degli edifici e degli interni: vuole esaltare i valori della luce, dello spazio aperto e della leggerezza in una geometria rigorosa e priva di orpelli, elaborando una pianta iscritta in un quadrato, simbolo di perfezione, dentro la quale si sviluppano diversi corpi di fabbrica con una struttura a bracci snodati. Una pianta aperta che permette a tutti gli edifici di godere di luce e adeguata aerazione e che non perde mai la propria unità attraverso pensiline, portici, corridoi e scale. L'edificio diventa così una delle più raffinate opere di industrializzazione artigianale e di architettura razionale, più che razionalista (Casciani, 2008).
La struttura, con il suo impianto planimetrico cruciforme, è ispirata all'edificio del Bauhaus di Dessau (1925-1926) progettato da Walter Gropius e diventa una soluzione aperta e rigorosa che "senza indugiare nel formalismo risponde con esattezza alle esigenze funzionali e dimensionali di un'università moderna" (Suriano, 2017).
Lo stesso Pagano (1942) ci racconta le finalità della sua opera: «una architettura fatta per uomini appartenenti alla civiltà contemporanea; una architettura moralmente, socialmente, economicamente, spiritualmente legata alle condizioni del nostro Paese; una architettura per soddisfare i bisogni, per "servire" nel vero senso della parola».
Attraverso la suggestione delle sue parole, si comprende bene come l'edificio di Via Sarfatti 25, ancora oggi, ci parli della storia di uomini che hanno creduto nelle alte finalità e nel potere dell'educazione.
"In questa piacevole tonalità
quasi da "acquario", accentuata dall'abbondanza delle luci soffuse,
il lavoro intellettuale trova, o dovrebbe trovare, le condizioni più favorevoli
per il miglior rendimento."
Da "Gli uffici della nuova Bocconi", Domus, 170, febbraio 1942, pp. 52-59
È proprio nella sperimentazione nel campo dell'allestimento degli interni che, alla fine degli anni Venti, in Italia gli architetti trovano spazio, in particolare nell'area milanese, favoriti anche dallo stesso territorio lombardo in cui la produzione di mobili (si pensi all'area della Brianza) e le scuole di arti e mestieri hanno una forte presenza ed influenza. Limitata è l'occasione per la pratica architettonica e urbanistica, anche per la presenza di professionisti che non lasciano spazio alle nuove generazioni legate al Razionalismo, ma grande è la possibilità per loro di operare e sperimentare nel campo dell'allestimento e dell'arredamento.
A Giuseppe Pagano si deve un contributo teorico decisivo per l'elaborazione nel contesto italiano di una avanzata teoria del progetto, sostenuta da una vigorosa tensione etica, che permea profondamente la sua riflessione critica. Per quanto riguarda lo specifico del design, il suo pensiero è in particolar modo caratterizzato dal riferimento al concetto di 'standard', che condivide con la cultura internazionale modernista ma anche con le metodologie e prassi industriali (Bassi e Castagno, 1994).
Nelle parole di Giuseppe Pagano (1936), la casa moderna viene costruita "tenendo presente che scaffali e armadi sono destinati a scomparire come elementi 'mobili' per diventare parte integrante dell'abitazione diventando anzi spesso pareti divisorie fra i diversi ambienti". Questi schemi descrivono anche il tentativo che in quegli anni si stava facendo nel definire un nuovo modo dell'abitare domestico, in cui la qualità dell'abitare viene raggiunta anche dall'integrazione e interdipendenza precisa dell'arredo e dello spazio architettonico.
Giuseppe Pagano vede l'opera architettonica nel suo complesso come "un organismo unitario, come una cosa umana, vivente, che si concepisce per sintesi e non per analisi" (Pagano, 1936)
Sulla rivista Casabella, nel 1933, l'architetto specifica le ragioni ideali che rendono l'adesione a una "nuova architettura" necessaria per far fronte ai cambiamenti del tempo: "Alla base di tutto sta una nuova onestà, una nuova sincerità che si trasforma in orgoglio del nostro tempo, un profondo volitivo testardo sentimento di semplicità e di chiarezza. Diremo, anzi, una 'retorica della semplicità'" (Pagano, 1933).
Questo approccio all'architettura e al design porta a privilegiare nuove componenti, come tecnica, ragione, funzionalità, scopo e obiettività – istanze rappresentative del moderno a cui Pagano fa riferimento, senza però dimenticare il rapporto con la classicità: divenendo parte integrante delle pratiche del progetto, esse conducono alla "rivalutazione di alcune leggi estetiche di grande importanza. Prima fra tutte, quella della 'ripetizione'. L'effetto monumentale del ritmo e dell'elemento ripetuto è legge antichissima… oggi la chiamano legge dello 'standard' […]" (Pagano, 1933).
Pagano contribuisce alla nascita e allo sviluppo del design industriale in Italia anche con la progettazione e l'allestimento della Mostra internazionale della produzione in serie alla VII Triennale di Milano del 1940. La riflessione teorica di Pagano sulla produzione in serie, originata nel contesto e nel sistema della progettazione architettonica, si è dunque sviluppata nell'alveo di una visione ampia e "totale" del ruolo etico e responsabile della cultura del progetto dentro la società, come ribadisce a commento proprio di quella Triennale: "L'architetto è così dentro la vita, almeno come noi l'intendiamo, che non c'è discorso che la eviti" (Pagano, 1940).
Espressione di questo design sociale, in sintesi con le architetture e con la componente umana che le abita sono i mobili e gli oggetti in esposizione, arredi originali dell'Università Bocconi che hanno trovato nuova vita grazie alle installazioni di Lux Italia create per la Milano Design Week.
Le due poltroncine razionaliste realizzate nel 1942 per gli interni dell'Aula Magna dell'Università Bocconi di Milano sono in legno di faggio curvato con un ingegnoso intreccio di "fibra silotessile", ovvero un "resistentissimo tessuto autarchico di carta". Esse ben rappresentano l'epilogo della ricerca etica dell'architettura e del design di Pagano, coniugando modernità e funzionalità, tradizione nei materiali e innovazione nelle forme.
Oltre alle due poltroncine è in esposizione anche uno dei podi per commessi, ancora oggi in uso in Università. In origine i banchi per commessi erano disposti ad ogni piano sul pianerottolo di arrivo dello scalone di Via Sarfatti 25 e sono costituiti da listelli di castagno naturale leggermente lucidato con i piani di linoleum.
Infine l'ultima installazione di Lux Italia vede protagonista un armadio/libreria in legno lamellare disegnato per gli uffici dell'Università Bocconi e gelosamente custodito da docenti e personale dell'Università. Per decenni è stato conservato nella certezza che fosse non solo un pezzo di storia da preservare, ma anche e soprattutto l'espressione dell'architettura sociale, onesta e sincera di Giuseppe Pagano.
Nato a Parenzo (Istria) il 9 agosto 1896, è irredentista di matrice mazziniana, volontario e ferito di guerra, aiutante maggiore del Battaglione volontari giuliani nella Fiume dannunziana e dal 1920 milita nel movimento fascista.
Ripresi gli studi, si laurea al Politecnico di Torino e diviene pioniere del rinnovamento dell'architettura: è direttore, dal 1937 al 1943, della rivista Casabella (che diviene nel frattempo Casabella-
Costruzioni), attraverso la quale polemizza apertamente col monumentalismo di Piacentini e contrasta lo sventramento dei centri storici.
Nel 1941 si arruola volontario sul fronte greco albanese ma l'esperienza bellica lo segna profondamente e l'anno successivo si dimette dal Partito Nazionale Fascista: «Ormai tutto è chiaro; da una parte il nazismo con le sue forze di sguatteri nostrani, dall'altra la gente che non vende la propria coscienza e che lavora, sogna ed opera "come detta dentro"».
L'8 settembre 1943 è a Milano e si pone subito a disposizione del Comando di piazza per un'azione antitedesca e per tre settimane opera in Lombardia con le Brigate Matteotti. Organizza, a Carrara, una rete clandestina nelle caserme fino all'arresto il 9 novembre, con indosso una rivoltella.
Dal carcere stabilisce un canale di comunicazione con la rete partigiana socialista e il 22 marzo scrive in un memoriale: «Non posso né voglio assolutamente nessuna soluzione di compromesso. Preferisco prendermi i miei trent'anni di galera piuttosto che dichiararmi pentito o magari filofascista. Ormai Basta! con queste porcherie!». Concorda con l'esterno un piano di evasione collettiva, attuata alle 3 di mattina del 13 luglio durante un bombardamento aereo.
Ripresi i contatti con la dirigenza socialista, assume la direzione delle formazioni Matteotti per la provincia di Milano e il ruolo di componente del Comando di piazza della città. La sera del 5 settembre interviene a una riunione cui presenziano tre traditori che lo vendono alla Banda Koch. Rinchiuso nella cella n. 4 della palazzina di via Paolo Uccello n. 17 («Villa Triste»), è ripetutamente torturato. Trasferito nell'ottobre 1944 a San Vittore, chiede di partire per la Germania come lavoratore volontario: si è infatti attrezzato per la fuga durante il trasporto ferroviario, ma i progetti sono vanificati e viene prima internato a Bolzano e poi, il 22 novembre, a Mauthausen.
Le percosse di un guardiano gli provocano febbre e broncopolmonite; agonizzante nell'infermeria, scrive un lucido
addio alla vita, sui due lati di un foglietto ricoperto con una grafia fitta e irregolare. Si spegne "stroncato di violenza" il 22 aprile 1945.