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Ve la do io la demografia

, di Andrea Celauro
Francesco Billari insegna la materia in Bocconi e con il suo lavoro, che lega l’analisi economica allo studio dei comportamenti demografici, contribuisce a spiegare come cambia la nostra società

Chissà se all'origine del suo interesse per la demografia c'è proprio quella tesina scritta in quinta elementare, la classifica delle lingue parlate nel mondo per numero di persone. Fatto sta che, di quel lavoro cominciato sui banchi di scuola, Francesco Billari ha fatto il suo mestiere e tabelle e trend demografici, adesso, sono il suo pane quotidiano in qualità di professore ordinario di demografia alla Bocconi: "La passione per la geografia, l'interesse per il confronto internazionale e per gli aspetti quantitativo-statistici sono state le molle che mi hanno fatto scegliere questa strada", racconta immerso tra le carte del suo studio.

Già, ma lei è innazitutto un economista

In demografia, l'approccio economico è utile per due motivi: dal punto di vista micro, poiché l'evoluzione della popolazione deriva dalle scelte individuali, che sono immerse in ambiente economico (avere dei figli, lasciare la casa dei genitori, emigrare). Lo studio delle scelte familiari, ad esempio, è valso il Nobel per l'economia a Gary Becker nel 1992. Sul versante macro, i due ambiti di studio sono in relazione reciproca: le scelte economiche, o politico-economiche, dipendono dalla dimensione demografica e viceversa, esempio lampante è il problema del pagamento delle pensioni.

Esempio che inevitabilmente tira in ballo la situazione del nostro paese

L'Italia ha già esaurito il suo "dividendo demografico": con lo smorzamento della crescita demografica, dovuto al declino della fecondità, la percentuale dei lavoratori attivi rispetto al totale della popolazione raggiunge il suo massimo. Ma i lavoratori fanno meno figli e la natalità inferiore riduce il ricambio generazionale mentre la popolazione si avvia all'invecchiamento. I tanti giovani del boom economico, insomma, stanno diventando i tanti pensionati di oggi.
Per raggiungere un equilibrio ed evitare il continuo invecchiamento della popolazione, bisogna attuare politiche che favoriscano la combinazione delle scelte familiari con la vita lavorativa, così come avviene in altri paesi, di modo tale che i giovani lavoratori ricomincino a fare figli. Il futuro dell'Italia, in ogni caso, è già la realtà di oggi: il progressivo aumento dell'immigrazione risponde alla chiusura della finestra di opportunità data dalla parabola negativa del dividendo demografico. Secondo le ultime stime, la popolazione italiana arriverà a 60 milioni entro il 2010.

Anche sull'immigrazione, tuttavia, si fa spesso un discorso ideologico

Tutte le politiche serie praticate dai paesi ricchi riconoscono la necessità dell'immigrazione. Persino in un paese come gli Stati Uniti, dove il tasso di natalità è alto. Il problema, semmai, è quali e quanti immigrati accogliere. Nel nord-est italiano, ad esempio, servono 36 mila lavoratori, in Italia, nel suo complesso circa 300 mila: posti di lavoro che, per le loro caratteristiche, attirano manodopera straniera. Ciò nonostante, i nostri governi tendono a correggere al ribasso questi numeri nello stilare le quote di ingresso per gli immigrati. E poi, quali far entrare? Alle aziende serve personale specializzato, alle famiglie servono fornitori di servizi (come le badanti), ma è necessario che vi siano anche persone con forte spirito imprenditoriale.

Torniamo alla demografia. Quali sono i temi "classici" di dibattito e quali, invece, le ultime frontiere di studio?

Si entra a far parte di una società in tre modi: per nascita e per immigrazione. Se ne esce per morte e per emigrazione. Fecondità, migrazioni e mortalità sono dunque le tre macro aree nelle quali opera la demografia. Nello specifico, oltre ai flussi migratori, i temi di studio riguardano la relazione tra le nuove forme di famiglia e la fecondità (è vero oppure no che i figli hanno bisogno di genitori sposati per crescere?). Inoltre, gli studi sulla fecondità in età avanzata e sulla longevità e le analisi sulla mortalità infantile nei paesi poveri. Gli ambiti più innovativi si rivolgono invece al rapporto tra lo sviluppo demografico e l'ambiente oppure agli studi sui gemelli, per valutare se esista o meno una base genetica all'origine dei comportamenti demografici.

Uno dei temi che trova spesso eco sulla stampa è quello del rischio sovrappopolazione. Qual è il futuro del pianeta, da questo punto di vista?

Rispetto agli anni '70, quando è stato lanciato l'allarme, le tecniche di analisi e previsione hanno fatto grandi passi avanti. Gli studi attuali fanno pensare che intorno alla metà del ventunesimo secolo la popolazione mondiale comincerà a calare ed è difficile stabilire quale sarà la punta massima prima dell'inversione di tendenza. L'errore, in ogni caso, è stato sopravvalutare la componente puramente demografica a scapito di quella economica. Non conta solo il numero di persone sul pianeta, quanto piuttosto le dinamiche di consumo e la produzione che serve a sostenerlo. Il problema non è il miliardo di africani, ma la scarsa attenzione verso l'ambiente di paesi come gli Stati Uniti.