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Stefano l’instancabile, dalla Cina con la moto

, di Andrea Celauro
Nel 2002 ha percorso venticinquemila chilometri in motocicletta per partecipare a un Mba Sda. Un viaggio emozionante, documentato con una serie di fotografie che adesso sono state raccolte in una mostra a Hong Kong

Tra amici, davanti a un boccale di birra, capita di fantasticare sulla propria vita. Si dice scherzando tra un sorso e l'altro: "E se mollassimo tutto e partissimo all'avventura?". Di solito la cosa finisce lì, ci si saluta e si torna al tran-tran quotidiano. Di solito. Perché ogni tanto qualcuno che prende sul serio la proposta c'è. Uno di questi si chiama Stefano Mangini e nel 2002 ha percorso 25 mila chilometri dalla Cina all'Italia per partecipare a un Mba della Bocconi. E adesso, a distanza di cinque anni, ha deciso di mettere in mostra a Hong Kong, dove vive, alcune delle 2 mila fotografie scattate durante il viaggio. Volti e istantanee delle molte e diverse culture incrociate. Foto a volte dure, a volte quasi divertenti, foto di una vita dall'altra parte del mondo.

"In concomitanza con la mostra, che è stata sponsorizzata dalla Sda Bocconi, presenterò anche un libro in inglese sulla mia esperienza", racconta l'oggi trentaseienne Mangini. "Pagine (trecento!) che rappresentano una sorta di diario di viaggio e che racchiudono quattro mesi e mezzo di emozioni". Il tutto, poi, si completa con il sito internet "restless travellers", che Stefano sta sviluppando insieme ad altri "instancabili viaggiatori" e che incarna la vera filosofia del motociclista giramondo.

Mangini, dunque, è uno di quelli che proprio non ce la fa a stare con le mani in mano. Basta ascoltare la sua storia per capirlo. Prima ancora di partire da Shanghai, dove lavorava per un'azienda americana di moda, infatti, Stefano aveva già diversi visti sul suo passaporto. Laurea negli Usa in gestione della produzione dopo un biennio in Italia in marketing e management, lavora in America per qualche tempo e poi si trasferisce in India, dove resta per due anni. Ed è qui che scopre "l'hippy trail", la via che i figli dei fiori percorrevano dall'Europa all'Asia: "la cosa mi ha appassionato e mi è frullata l'idea di percorrerlo a ritroso", racconta.

Nel '97 è la volta del paese della Grande Muraglia, del lavoro a Shanghai: "Quando sono arrivato in Cina mi sono deciso, volevo partire da lì e aggiungere questo grande paese alla lista di quelli che avrei attraversato". Il momento del viaggio, però è ancora lontano. Stefano ci pensa e ci ripensa per quattro anni finché, complici la voglia di rivedere l'Italia e l'Europa ("Che avevo lasciato prima dell'Euro") e la decisione di arricchire il proprio bagaglio di competenze tecniche con un Mba, si lancia nell'impresa. Ci impiega un anno per organizzare tutto, a causa della difficoltà di reperire una moto adeguata ("me la sono fatta spedire a pezzi dal Giappone") e di una serie di impedimenti burocratici. Le fasi finali dell'organizzazione, infatti, hanno coinciso con il periodo immediatamente successivo all'11 settembre: "Il Pakistan non rilasciava il visto, per prenderlo sono dovuto andare negli Usa, dove ovviamente mi hanno guardato storto. Non capivano come mai volessi passare da quel paese". Il documento per l'accesso all'Iran, invece, gli è stato rifiutato ben quattro volte prima di arrivare giusto a due giorni dalla partenza.

Nell'aprile 2002, l'inizio del viaggio. Stefano ci mette 40 giorni per attraversare la Cina e varcare la frontiera con il Pakistan, ma il momento è topico: "Quel confine ha segnato uno dei ricordi più belli. A parte i problemi burocratici per uscire in moto dalla Cina, passare il confine è stato il momento in cui ho davvero pensato 'bene, adesso non posso più tornare indietro. Qui inizia la vera avventura'".

E di avventura vera si tratta: nell'inferno del deserto del Gobi la moto si surriscalda e lo abbandona, sul Karakoram, a 4.700 metri di altitudine tra Cina e Pakistan, si spacca letteralmente a metà. Chiunque avrebbe abbandonato l'impresa, Stefano invece non molla e trova il modo di farsi saldare la moto da un fabbro.

Dopo Cina e Pakistan è la volta dell'Iran, "un paese bellissimo ma che mi ha lasciato una profonda tristezza per la condizione della gente", poi la Turchia, la Grecia e l'Italia. Venticinquemila chilometri in tutto, quasi due terzi della circonferenza della terra.

Oggi Stefano Mangini lavora a Hong Kong, dove si è trasferito dopo l'esperienza dell'Mba italiano: "Fino a poco tempo fa ero direttore di produzione in Asia per la Cèline, un brand del gruppo Louis Vuitton, adesso mi sono messo in proprio". Ma anche a distanza di cinque anni, quando rievoca la sua avventura, Stefano ha ancora la voce impastata dalla nostalgia. E chissà che non stia già pensando a un bis da qualche altra parte.