La patente a punti funziona? Dipende da dove guidi
E', la patente a punti, quell'efficace strumento di prevenzione della guida spericolata per la quale è stata creata? A Oslo certamente sì, a Roma, Madrid e Praga no, anzi il contrario. Questo, in estrema sintesi, il risultato di un lavoro di gruppo condotto da tre studenti del secondo anno dell'Emit (Master of Science in Economics and Management of Innovation and Technology) dell'Università Bocconi, durante il corso Empirical Methods for Innovation Strategy diretto da Alfonso Gambardella. I tre studenti, Alessandro Spina, Matteo Hu e Luca Delpero, hanno condotto la ricerca analizzando i dati relativi a 31 paesi europei. Finalità del progetto, dimostrare che un sistema basato sulle sanzioni, anche, per esempio, in una realtà aziendale, risulta poco efficace se non sorretto da un senso di responsabilità delle persone coinvolte verso la collettività. "Generalmente percepiamo l'introduzione della patente a punti come un contributo fondamentale alla riduzione del numero degli incidenti avvenuti negli ultimi anni", spiega Alessandro Spina, "in realtà però, se si scava un po' in profondità, si vede che non è esattamente così, anzi in alcuni casi si è verificato l'esatto contrario".
Quello che i ragazzi hanno fatto, con rigoroso metodo scientifico, è stato analizzare i dati relativi a un gran numero di paesi europei, distinguendoli in tre macroaree: Nord Europa, Europa Mediterranea, Est Europa. "Se il numero degli incidenti è complessivamente diminuito ovunque negli ultimi anni", prosegue Luca Delpero, "abbiamo notato che a seguito dell'introduzione della patente a punti c'è stato un rialzo del numero dei sinistri nelle regioni dell'Europa Mediterranea e in quelle dell'Est, mentre nel Nord Europa è continuato a diminuire. La diminuzione nelle prime due macroaree è quindi più imputabile ad altre ragioni, come per esempio l'aumentata sicurezza delle infrastrutture e delle automobili, che agli effetti diretti dell'introduzione della patente a punti". Indagando sulle ragioni, gli studenti, confortati anche da ampia letteratura scientifica, hanno considerato come più attendibile la tesi che introduce il concetto di "moralità", pubblica, in un caso, privata nell'altro.
"Si tratta di un fattore essenzialmente culturale. I paesi nordici sono più orientati verso il benessere collettivo in senso ampio", dice Matteo Hu, "quelli mediterranei e dell'Est invece per un benessere di tipo familiare, limitato cioè a una cerchia più ristretta di persone. Va precisato però che nella nostra analisi ci siamo limitati a considerazioni a livello di macroaree, senza entrare nel dettaglio dei singoli paesi".
"Un altro aspetto importante, sul quale fare una riflessione", aggiunge Alfonso Gambardella, "è che i ragazzi sono stati in grado di dimostrare, prendendo come riferimento una serie di articoli su questo argomento, che la metodologia spesso usata per valutare i risultati non è quella corretta".