Il valore da non dimenticare
La questione su quale obiettivo debba essere assunto dalle imprese che vogliono seguire sentieri di sviluppo virtuosi è tornata alla ribalta: l'attuale crisi economica ha drammaticamente evidenziato come strategie orientate a una rapida crescita, finanziate con massicce dosi di capitale di credito, si siano rivelate effimere. Non appena è venuta meno la grande disponibilità di credito e vi è stata una contrazione nei mercati, tali strategie si sono rivelate oltremodo difficili da sostenere, con debiti da rifinanziare a fronte di banche poco disponibili.
I comportamenti basati sulla capacità di generare profitti a breve termine e di ottenere migliori quotazioni dei titoli azionari, incentivati dai bonus e dalle stock option, hanno rivelato la loro inconsistenza non appena la crisi ha cominciato a mordere. Sul banco dell'accusa è stata posta la questione della massimizzazione del valore per gli azionisti, che comporta un'attenzione eccessiva al mercato azionario. I fautori di una visione più ampia, che include anche gli altri portatori di interesse (stakeholder), sono tornati alla carica sostenendo che creare valore anche per i dipendenti, i finanziatori, la comunità locale ecc. ha come effetto una maggiore capacità dell'impresa di sopportare le crisi. Credo che una parte della ragione stia in entrambe le posizioni, ma che per affrontare correttamente la questione si debba dividere il problema nelle due componenti: la massimizzazione e il valore. Diciamo subito che il concetto di massimizzazione è sbagliato, in quanto il termine contiene un principio profondamente scorretto. Quando infatti si vuole massimizzare, ci si concentra sulla funzione-obiettivo e tutto il resto diventa irrilevante, o al più un vincolo da rispettare, subordinato rispetto all'obiettivo. Se si riconosce che l'impresa è un sistema complesso, allora bisogna anche concludere che la massimizzazione di un solo obiettivo non può che condurre a risultati deleteri. Se pensiamo a un sistema di tipo biologico, a nessuno piacerebbe che fosse massimizzata una parte del suo funzionamento. Nessuno vorrebbe che fosse massimizzata la produzione di globuli rossi, oppure di cellule, o ancora di tessuto osseo, perché nel giro di poco tempo l'organismo si deteriorerebbe inesorabilmente. È vero che le imprese non sono organismi biologici, ma la questione è uguale per tutti i sistemi complessi, compresi quelli di tipo economico, le imprese appunto. Massimizzare qualunque aspetto del funzionamento, compresa la produzione di profitto, pone la prospettiva in modo sbagliato e comporta prima o poi un forte disequilibrio. Il secondo tema riguarda il valore. La contrapposizione tra gli azionisti e gli altri portatori di interesse nasce solo nel breve termine, perché azionisti e stakeholder sono solo parzialmente vincolati all'azienda nel tempo e possono decidere di trarre il massimo vantaggio da una crescita del valore loro spettante nel breve termine, perché possono poi lasciare l'azienda. Tuttavia siamo tutti d'accordo sul fatto che la prospettiva di breve termine è uno degli ingredienti dell'attuale crisi. La conclusione è dunque che l'unico valore di cui ha veramente senso parlare è quello che consente un costante sviluppo e una sostenibilità nel lungo termine dell'impresa. Su questo aspetto non esiste alcuna contrapposizione tra gli azionisti e gli altri stakeholder: l'interesse è assolutamente identico. In questa prospettiva non vi è differenza tra valore per gli azionisti e valore per gli stakeholder: quella che va ricercata (lasciando perdere la massimizzazione) è la crescita di valore dell'impresa, vale a dire del suo capitale economico, che poi si riflette, anche se in modo imperfetto, nel valore azionario e nei redditi degli stakeholder.