Disuguaglianza: la crisi è come la peste
Nel corso degli ultimi trent'anni, nei paesi avanzati la disuguaglianza economica è aumentata. Questo processo, dovuto all'enorme aumento delle retribuzioni di ristrette élite nel contesto di riforme fiscali meno punitive per i salari più alti, si è arrestato con lo scoppio della crisi finanziaria. Vi sono chiari segni, anzi, di un'inversione di tendenza con una riduzione nella disuguaglianza complessiva determinata, anche in questo caso, dall'evoluzione (discendente) delle retribuzioni più elevate.
Cosa ci riserva il futuro? Si tratta dell'inizio di un trend di lungo periodo, o di un fenomeno temporaneo e destinato a rientrare quando la crisi volgerà finalmente al termine? Il passato offre qualche insegnamento. Nel 1955 Simon Kuznets formulò l'ipotesi che, in Europa, la disuguaglianza economica fosse aumentata durante la prima fase del processo di industrializzazione, per poi declinare una volta superata una certa soglia: disegnando una sorta di parabola rovesciata nota come "curva di Kuznets". Il motore del mutamento sarebbe stato il trasferimento di forza lavoro dal settore agricolo (arretrato) a quello manifatturiero (avanzato). Finora, questa celebre teoria non ha trovato piena conferma storica, in particolare per la prima fase caratterizzata da disuguaglianza crescente. Alcuni anni or sono, lo storico economico Jan Van Zanden ha suggerito che la crescita della disuguaglianza sia stata molto più lenta, iniziando nel XVI secolo nelle aree dell'Europa settentrionale economicamente in ascesa. Questo processo disegnerebbe una sorta di super-curva di Kuznets in cui a una lunghissima fase di crescita ne seguirebbe una seconda, di rapida diminuzione, solo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Da alcuni anni, ricerche in corso presso il Centro Dondena della Bocconi sull'evoluzione di lungo periodo dell'ineguaglianza in quella parte d'Europa che, come l'Italia, tra il XVII secolo e la rivoluzione industriale fu caratterizzata da un'economia stagnante o in declino, vanno suggerendo un quadro diverso. La disuguaglianza, infatti, sembra aumentare ovunque: senza quindi che sia possibile imputarla alla crescita economica. Piuttosto, altri fattori vanno sottolineati, in particolare di ordine demografico. Nei sistemi demografici di antico regime, caratterizzati da tassi di mortalità urbana mediamente assai elevati, non solo la crescita delle città, ma il semplice mantenimento di una certa taglia demografica implicano consistenti fenomeni immigratori. Il differenziale di reddito (e ricchezza) tra i lavoratori poco qualificati provenienti dalle campagne e i cittadini tende ad alimentare in modo continuativo la crescita della disuguaglianza, anche in assenza di crescita economica. Al tempo stesso le crisi di mortalità, ad esempio quelle causate dalla peste, perturbano questo schema determinando rapide ma temporanee riduzioni della disuguaglianza complessiva. Nel lunghissimo periodo, dunque, l'evoluzione dell'ineguaglianza in Europa sembrerebbe descritta non da una parabola rovesciata, ma da un grafico a dente di sega: orientato costantemente alla crescita, ma ciclicamente segnato da repentini crolli in occasione delle crisi. In questa prospettiva la crisi attuale, come quella del '29 prima di lei, svolgerebbe un ruolo analogo alla peste del passato. L'eccezione, quindi, non sarebbe la crescita della disuguaglianza verificatisi dopo il 1980, bensì la lunga fase di riduzione successiva alla Seconda guerra mondiale, e la crisi in corso potrebbe essere vista come un'occasione per ridurre le disparità, sospettando che, tornato il sereno, esse riprenderanno ad ampliarsi.